Questa è la storia di Silvia, una storia di precariato e invisibilità. Invisibile perché il suo racconto si confonde con quello di giovani e giovani Italiani, studenti eterni per la società, fannulloni per le statistiche perché parte di quel 42,7% di under 29 che nel 2014 non hanno lavorato.
In realtà lei come molti altri ha sempre lavorato, e lo fa dall’età di 16 anni. Adesso che di anni ne ha quasi 26 e la situazione non è diversa, anzi, studia barcamenandosi tra una convivenza in nero e un lavoro ancora più nero perché sottopagato e senza l’ombra di un contributo. Sei giorni a settimana su 7 come cameriera, al salario minimo, riuscendo a portare a casa meno di 600 euro al mese.
Silvia voleva fare la giornalista, ha sempre amato leggere e scrivere, i sogni però non portano a tavola da mangiare, quindi non ha potuto far altro che rimboccarsi le maniche. Figlia di divorziati, con un solo stipendio su cui contare si è rimboccata le maniche molto presto e il suo curriculum si è arricchito man mano delle esperienze più disparate. Baby sitter, volantinaggio, banchista ambulante, commessa, cameriera e barista. Tuttenon dichiarabili perché in nero.
Come molti altri quindi percepirà una pensione minima, e, avendo un titolo di studio medio alto non potrà comunque aspettarsi un posto fisso ma un lavoro precario, e questo solo se riesce ad essere assunta prima dei 29 anni, dopo sarà ancora più difficile perché “a rischio maternità”. Questa è una storia come tante altre, una storia fatta di precariato ed invisibilità, come ho già detto, un racconto che si confonde in mezzo a milioni di racconti, non per questo non merita di avere voce, come tutti meriterebbero di avere voce.
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